Ritmi tribali in via Popilia

Ci sono due bambini sotto il palco dei “Tamburi del Bronx”. “Mamma, a che ora cominciano a suonare?”. “Devi avere pazienza. Tra poco iniziano. Vedrai che ti piaceranno”. Tra le cinque e le seicento persone invadono l’improvvisata area del concerto: un vecchio deposito di carcasse d’auto. Una specie di purgatorio delle macchine, dove le carrozzerie vengono accatastate, in attesa di essere demolite. Il palco è ricavato tra due cumuli di ferraglia, che richiamano alla mente i paesaggi postmoderni delle grandi metropoli. A Cosenza non esistono aree dimesse. Numerosi flagelli nel corso dei secoli hanno colpito la città, ma la storia ha avuto pietà e ci ha risparmiato l’industrializzazione. Niente fabbriche o quartieri nebbiosi, puzzolenti e metallizzati. E così gli organizzatori si sono dovuti accontentare. La “Music Crew” dell’assessorato alla cultura, ispirata dal direttore artistico Luca Ardenti, ha sudato sette camicie prima di realizzare un progetto geniale, arricchito con un pizzico di follia: allestire un concerto dei “Tamburi del Bronx” in piena via Popilia. Le “Invasioni” vibrano nella mente visionaria di chi ha ideato la rassegna estiva di concerti e spettacoli. A pochi passi dal palco, un rudere illuminato conferisce alla serata un tocco di mistero. Improvvisamente, sulla scena del concerto irrompe una valanga di rumori. E’ il frastuono causato da 18 pazzoidi francesi, che una persona “perbene” non esiterebbe a definire “avanzi di galera”. Provengono dal quartiere ferroviario di Varenens-Vauzelles, nella periferia di Nevers. Impugnano manici di piccone e percuotono grossi bidoni di latta, quelli che di solito si usano per conservare il petrolio. Li avranno recuperati in qualche ferrovecchio della zona. Sono loro “Les Tambours du Bronx”. I due bambini sotto il palco hanno reazioni contrastanti. Il primo scoppia a piangere e il secondo inizia a ballare come un forsennato. La madre trascura il primo e si preoccupa per il comportamento del secondo, che non accenna a fermarsi. L’assordante ritmo dei “Tambours” sembra il preludio di un brano strumentale. Invece no. Il rullare dei bidoni incalza per tutta la serata e ritaglia nell’etere suoni familiari a chi ha percorso le larghe e deserte strade dell’era industriale. È un rumore sordo, ritmato con una precisione inverosimile, che richiama sonorità improbabili: l’armonia di un treno sulle rotaie, una tribù africana in festa, la “kalimba” dei freakkettoni, una pressa gigantesca nelle fabbriche di Dickens. Basta spostarsi a poche centinaia di metri dall’epicentro, per accorgersi che il suono assume contorni imprevedibili: si contorce, riverbera, diventa quasi psichedelico. Il pubblico è diviso. Un centinaio di spettatori vanno via, ma c’è chi si avvicina ed applaude. E dalla collina di Sant’Ippolito, a pochi chilometri di distanza, qualcuno telefona ai pompieri: “Che sta succedendo? Qui vibra tutto!”.
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 22 luglio 1998

 

 

 

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