Viaggio nell’oscuro pianeta delle droghe

La droga c’è, ma non si vede. In città circolano sostanze stupefacenti dalla fine degli anni settanta e ogni tanto qualcuno viene stroncato da un’overdose. «Anche da questo punto di vista, Cosenza è una città disgraziata- dice Giovanni, disoccupato, 40 anni, di cui 20 trascorsi in compagnia dell’eroina- perché il tossico non trova facilmente la roba come negli altri centri del sud. Ormai ho quasi smesso di bucarmi. La “gnugna” mi ha consumato il corpo. La mente ha resistito. Ogni tanto vado in depressione, ma mi riprendo quasi subito. Ho iniziato a farmi a Milano, verso il ’78 o il ’79. Quando sono sceso a Cosenza, la roba non la conosceva nessuno. Allora, come oggi, l’eroina che girava in città non era nelle mani della malavita. La gestivano venditori occasionali. Non è masi esistita un’organizzazione specializzata nello spaccio. I piccoli pusher raccoglievano soldi tra i consumatori, andavano in altre città, facevano la storia (comperavano l’eroina Ndr) e la rivendevano in piazza. Anche oggi è così: per farti una pera ci vogliono 50 mila lire, ma a Cosenza ti rifilano porcherie tagliate con mannite e lattosio. Più che altro, serve per darti l’illusione dello sballo: un paio d’ore di mal di testa e poi passa tutto».
Le parole di Giovanni trovano conferma in quelle di Salvatore, 34 anni, pregiudicato e per anni vicino agli ambienti della criminalità locale: «Una vecchia leggenda di strada racconta che un capo della malavita si opponeva alla circolazione della droga in città, ma questo non è vero. In realtà, i clan pensavano soprattutto a controllare altre attività, come le estorsioni o gli appalti. È vero che un giro organizzato non è mai esistito, ma nell’”ambiente” molti sostengono lo spaccio, attraverso il finanziamento indiretto. Erano investimenti minori, che però alla lunga fruttavano». In assenza di un controllo criminale del mercato, in città le droghe circolano a fasi alterne. Giovanni spiega che per riempire una siringa sono necessari circa 80 milligrammi di sostanza, «ma quelli che si fanno, sono costretti ad andare verso Crotone, lo Jonio o la provincia di Reggio. Certe volte non basta ritrovarsi i soldi in  tasca, bisogna anche avere la fortuna di beccare il canale giusto per comprare la roba. In questa città- racconta Giovanni- esiste un fenomeno che io definirei” poli-tossico dipendenza”: l’eroinomane non riesce a trovare la “materia prima” e trascorre le sue giornate assumendo metadone, mangiando pasticche o bevendo alcolici. C’è gente che si spara nelle vene il “Minias” in gocce o si riempie di “Roipnol”, che è una specie di sedativo. Alla fine, il “tossico…” si ritrova ad essere dipendente da tutto, tranne che dall’eroina. I meno esperti ci lasciano le penne, perché non conoscono a fondo la roba. Se la “sparano” insieme ad altre sostanze e collassano, perché il loro fisico è già seriamente compromesso. La “pera” spesso è solo la botta finale».
Salvatore traccia un profilo realistico dell’eroinomane medio: «La personalità del tossico cambia progressivamente. Il pensiero fisso è rivolto alla ricerca della polvere. Nella “mala” cosentina, la gente che si bucava era considerata poco affidabile. In genere, regnava una forte diffidenza verso quelli che scivolavano nel tunnel. Bastava poco per essere allontanati dai ruoli più importanti. Per esempio, era difficile che nelle organizzazioni entrassero i cornuti». Alla fine degli anni settanta non esistevano contatti frequenti fra i clan delle tre province calabresi. «Quelli di Catanzaro e Reggio- precisa Salvatore- non volevano avere rapporti con i cosentini, perché non si fidavano e dicevano che a Cosenza, la delinquenza era sempre pronta a “cantare”, come era accaduto nel processo alla malavita delle tre province». La malavita cosentina ha preferito tenersi fuori da un’attività sistematica di spaccio, ma è intervenuta quando nelle piazze il fenomeno stava per allargarsi. Giovanni ricorda gli anni in cui quelli di sinistra si ritrovavano a Palazzo degli uffici: «L’erba era meno conosciuta delle droghe pesanti. All’inizio degli anni ottanta, se i carabinieri ti fermavano in possesso di marijuana, riuscivi a convincerli che si trattava di mangime per conigli. Se ti trovavano addosso del fumo (hascish Ndr) gli spiegavi che era tintura per capelli. Ogni tanto arrivavano in piazza quelli dell’ “ambiente” e ti minacciavano, perché l’erba non la potevi vendere. Adesso con una canna ti sbattono in galera e ti menano pure. Bisogna considerare che oggi fumano tutti ed è sbagliato definire “droga” una piantina come la marijuana. Sono ben altre le dipendenze». Salvatore riflette sulle caratteristiche odierne del mercato: «Con questa storia del proibizionismo, hanno peggiorato la situazione, perché le piazze si sono riempite di erba albanese. Si dice che sia tagliata con altre sostanze. Qualcuno ribatte che è naturale, ma così forte da sembrare tossica. La mafia pugliese ha approfittato dell’illegalità per importare l’erba, sfruttando i bambini che sbarcano ogni giorno sulle coste». «La cocaina  non manca nelle sfere alte della città,  ma i ragazzi di oggi – continua Giovanni – impazziscono per le sostanze sintetiche.
A Cosenza non esistono luoghi precisi di spaccio delle nuove droghe. Ogni tanto qualcuno fa un viaggetto fuori e ritorna con una piccola scorta. Va di moda la “Chetamina”, che viene usata dai veterinari per curare cani e cavalli. È un liquido che piace ai nottambuli delle discoteche. Si può trovare nelle vie principali della città, ma bisogna avere i contatti giusti». Giovanni non conosce bene gli effetti dei nuovi stupefacenti, ma prova a paragonarli con le droghe classiche: «Somigliano ai vecchi “assorbenti”. In città sta crescendo il popolo dei “rave”, ma ancora non ha trovato luoghi d’incontro e si sposta negli altri centri. Spesso, quelli che assumono certe sostanze, vanno a sballarsi nei vari locali, che ormai dalle nostre parti non mancano. Le più ricercate sono le “paste”, che somigliano ai vecchi “ecstasy”. Il principio attivo è lo stesso si chiama “M. d. m. a.”: una specie di anfetamina, che provoca euforia ed esalta l’energia delle persone che ne fanno uso. A Cosenza una “pasta” costa in medio 30mila lire e la “Chetamina” può arrivare a 35mila. Qui arrivano le briciole del grande mercato. Raramente si trova un po’ di “Speed”, che è anfetamina in polvere, ma questo è possibile solo nei circuiti “amicali”». Giovanni conclude l’intervista parlando della condizione dei tossico-dipendenti che assumono metadone: «A Cosenza sono tantissimi; circa 150 persone ogni mattina si recano in un ambulatorio dell’ospedale civile. Si  vive una situazione di perenne disagio, perché era prevista la costruzione di una palazzina in cui ospitare la struttura dell’Asl, ma questo non è ancora avvenuto. L’Azienda sanitaria distribuisce fiale da 50 milligrammi. I protocolli in uso nelle altre città possono prevedere dosi fino ai 150. Sono contrario al metadone, perché in certi casi è peggio dell’eroina».
In città esistono numerose strutture che operano nel recupero dalla tossicodipendenza ed affrontano il fenomeno da angolazioni diverse. È molto radicata l’esperienza della comunità “il Delfino”, che affianca il Sert di via delle Medaglie d’Oro. Negli ultimi mesi è emersa la proposta del Coordinamento provinciale antiproibizionista, promotore di una raccolta di firme per sostenere la legge d’iniziativa popolare su “legalizzazione e depenalizzazione”. Non solo droga nelle vene. Ma anche rabbia. Quella dei più consapevoli, che arrivano a scrivere su un muro: «La libertà non si inietta, ma si conquista!»
Claudio Dionesalvi
Il Domani, 30 aprile 1999

No Comments Yet.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *